La Giustizia

L’ottava carta è associata alla Sephira Hod, Gloria.

 

Alla base della colonna della Severità, è l’azione (potere) diversificante, ricettiva e creatrice che organizza la materia con Rigore, secondo le regole derivate da Din, Giudizio, altro appellativo della sephira Geburah.

Rappresenta l’equilibrio universale e l’energia circolare ∞ dell’attrazione e della repulsione.

 

È la forza discriminatrice, il discernimento che, se ben applicato, separa il bene dal male, è la ‘barriera’ (חית) che divide il quotidiano dal trascendente.

È associata alla lettera heth ח)  8) , all’ottavo sentiero, che collega Binah a Chesed, e al segno del Cancro.

 

Nella carta la figura è quella dell’Arcangelo Gabriel (‘il Forte di Dio’), la forza spirituale che amministra la giustizia, indicata in simbolo sul rotolo nella mano sinistra, con energia e rigore rappresentati dal bastone tenuto nella destra.

 

Questa figura è posta tra le due colonne-forze positiva e negativa, attiva e passiva.

Due energie che vengono bilanciate con ordine e armonia per sostenere la creazione, e rappresentate da Jakin e Boaz, le colonne del tempio di Salomone.

 

È il sentiero che collega il Grande Mare Binah all’energia creatrice di Chesed, rappresenta la forza plasmatrice presente nel Cancro, segno cardinale di acqua.

 

Il Duomo di Modena a cura di Patrizia Curti
La Giustizia è raffigurata con l’atteggiamento dell’arcangelo Gabriele che svetta nella parte alta dell’abside brandendo l’asta al posto della spada.
E’naturale accostarlo a quello della sommità della facciata per la somiglianza nell’ abbigliamento, nell’acconciatura a grosse ciocche – modellata su esempi paleocristiani – con i riccioli che si sollevano sulla nuca.
Come Michele, anche Gabriele ha il braccio destro ripiegato sul petto e impugna una sorta di asta sormontata da un grande giglio araldico, cifra iconografica che contraddistingue gli arcangeli.
Nel rotolo che stringe con la sinistra si legge la scritta Gabriel, sostituita dalla bilancia nella carta. La scultura, caratterizzata da un classicismo ancora più evidente che nella scultura dell’arcangelo Michele, è stata ritenuta dalla critica più recente una prova tarda di quegli scultori campionesi che eseguirono anche il Redentore dentro la mandorla della facciata.